Fra Sinodo e Giubileo

Ci aspetta un anno ricco di stimoli e indicazioni, con un Giubileo di riconciliazione e pacificazione. Una difficile missione della pace da portare in un mondo con guerre che non hanno prospettive (le guerre sono facili da iniziare e difficili da finire); e con un sinodo che è espressione di pace e comunione da annunciare e testimoniare. Viviamo momenti di violenza: vengono picchiati medici, insegnanti, agenti di polizia. Tutto iniziò con un linguaggio violento che negava ogni incontro e confronto democratici, definiti già dall’inizio come “inciucio”. Occorre pacificare e introdurre il dialogo come metodo di confronto. La Chiesa in uscita chiama tutto il popolo – laici, donne, comunità locali – a portare pace, giustizia, libertà, come un frutto vissuto dentro le comunità di fede. È l’esperienza di fede, concretizzata nelle relazioni che vi si vivono, a maturare anche le capacità di vita sociale.
Non è tanto l’aspetto dottrinale che fa crescere, ma l’incontro con Gesù che è molto più di una informazione catechetica. Noi siamo Chiesa in uscita nella sua interezza, di tutto il popolo, di uomini e donne, di comunità locali. Dobbiamo imparare a parlare alle ansie e alle paure che rendono violenti; paure indotte per le immigrazioni, la prospettiva di una faticosa transizione ecologica e di una crescente disuguaglianza. Parlare in modo da essere compresi da tutti, soprattutto dai più poveri anche di cultura. Si parla di epoca di cambiamento e non sappiamo cosa significa evolvere il nostro modo di evangelizzare. La nostra società è multietnica e noi siamo sale e lievito. L’individualismo si è insinuato anche nella vita di fede, diventata intimista e autodeterminata. È più una questione del “sentire”, che del “credere”. Le nostre comunità sono lente nel comprendere i tempi e nel rispondere, impegnate a gestire il presente fra campanilismi e tradizionalismi. Pur tenendo presenti le indicazioni della dottrina sociale, non dobbiamo correre il rischio dell’orizzontalismo; l’ascolto della Parola ci fa capaci di annunciare la speranza in ogni tempo e in ogni situazione. A volte diciamo, con un certo disdegno, che occorre superare la tentazione di ragionare con la pancia; la mediazione è ragionare con il cuore, come ci chiede l’enciclica “Dilexit nos”, in cui ragione e sentimenti profondi sono un’unica cosa. Siamo portatori di una speranza che non delude, come chiede la bolla di indizione del Giubileo “Spes non confundit”. È la parola di Dio che ci rincuora, ci prepara all’accoglienza dei fratelli, di coloro che soffrono, degli ultimi; ad affrontare, nello spirito della “con- passione” di Gesù, le crescenti disuguaglianze a ogni livello. È dalla contemplazione che nasce l’azione.

Franco Appi