Cinque giorni a Trieste vissuti intensamente
La Diocesi di Forlì-Bertinoro ha partecipato alla Settimana Sociale dei cattolici, a Trieste dal 3 al 7 luglio, con quattro delegati. Assieme al vescovo mons. Livio Corazza, erano presenti Enrico Nanni, Marina Novkovic e Luciano Ravaioli.
Uno dei delegati ripercorre l’indice dei cinque giorni: Democrazia sostanziale e trasformativa, partecipazione, Bene Comune, alfabetizzazione democratica, followership, questi sono solo alcuni dei temi emersi durante la 50esima edizione delle Settimane Sociali.
Le giornate sono state caratterizzate da relazioni in plenaria al mattino, seguite dai laboratori politici e sociali, dialoghi delle buone pratiche e piazze della democrazia nel pomeriggio. Interessante il metodo dei laboratori, con incontri a gruppi composti da 20-25 persone a gruppo. Il metodo affronta le relazioni del mattino, precedute da una riflessione biblica, chiedendo ad ogni componente di annotare in modo sintetico e chiaro, una idea emersa. Non è il caso di spiegare qui il meccanismo per cui si arriva alla fine ad una proposta chiara e articolata: l’importante è sottolineare che il metodo permette a tutti di esprimersi, facilita l’ascolto degli altri e fa in modo che non venga monopolizzato il confronto solo fra alcuni.
È stata un’esperienza coinvolgente: i temi affrontati e il metodo sono da riprendere e fare nostri.
“Ho ancora nell’orecchio – afferma un altro delegato – la testimonianza del dottor Paul Bhatti, pakistano che vive da anni a Treviso, fratello di Shahbaz Bhatti, politico cristiano e ministro per le minoranze in Pakistan, assassinato il 2 marzo 2011 a Islamad. La giornalista Lorena Bianchetti ha chiesto se sia possibile la convivenza tra persone di diverse fedi e quale messaggio volesse dare ai presenti, Paul risponde: “Solo il dialogo, il perdono e l’amore possono vincere l’odio e la guerra”. E continua, riferendo come in uno degli ultimi incontri col fratello assassinato a cui chiedeva di venire in Italia invece di rimanere nell’inferno del Pakistan, il fratello rispondesse così: “La strada per il paradiso parte dal Pakistan” Da aggiungere che è stato aperto il processo di beatificazione per il fratello ucciso a cura della comunità di Sant’Egidio.
“Da Trieste, città affacciata sull’Europa, crocevia di popoli e culture, terra di frontiera, alimentiamo il sogno di una nuova civiltà fondata sulla pace e la fraternità”: queste parole di Papa Francesco raccontano quanto sia stato profetico scegliere questa località italiana. Il lavoro svolto da noi delegati è stato profondamente influenzato dalle suggestioni legate allo spazio in cui è stata pensata la 50esima Settimana Sociale dei cattolici in Italia. In questa città, ultimo lembo di terra unito alla Italia repubblicana, tappa della rotta balcanica, vicina alle foibe e a San Sabba, città natale di Basaglia, Svevo, Saba, tanto (tutto) racconta di cosa significhi la democrazia e a cosa tendere per “vivere da fratelli tutti”. Trieste ci ha accolto per una partecipazione allargata: gli stand delle buone prassi collocati in vari punti della città e le piazze tematiche hanno coinvolto non solo i delegati e gli espositori, ma la città intera. Sono veramente impaziente di vederci restituiti, a settembre, i materiali conclusivi, frutto del lavoro di noi delegati, da parte del comitato scientifico. Saranno proposte, idee, progetti concreti per la politica è la società civile del nostro territorio”.
Tra i vari temi affrontati nelle piazze, si è parlato anche del problema delle carceri. Emerge forte l’urgenza di trovare azioni coraggiose da intraprendere nell’ambito legislativo: l’elevato numero dei suicidi, già 53 quest’anno, il sovraffollamento e la mancanza di un piano di vita post-detenzione mostrano un quadro nazionale preoccupante. La riforma Cartabia, spiegata dalla dottoressa Marta Cartabia, ex ministro della Giustizia, è stato l’inizio di un processo di cambiamento che ha visto la riduzione dei tempi dei processi, il potenziamento delle pene alternative e l’introduzione del concetto di giustizia reparativa (o meglio, ristorativa). E su quest’ultima tematica la platea ha ascoltato attentamente le parole della ricercatrice Bertolini, che ha spiegato come la giustizia riparativa nasca da un bisogno di rispondere a domande per cui la giustizia penale non ha risposte. La giustizia riparativa mette in contatto la vittima e l’autore del reato attraverso un mediatore e la comunità per un confronto su quanto accaduto, per comprendere le motivazioni, assumersi la responsabilità delle proprie azioni e riconoscere il danno procurato.
Infine, diverse sono le buone pratiche emerse, partendo dalla cooperativa “Rigenerazione” di Giuseppe Mattina, che permette ai carcerati di imparare una professione che li aiuterà nel momento di fine pena a trovare più facilmente una prospettiva lavorativa, all’associazione “Kayros” di don Claudio Burgio, che accoglie i giovani usciti dal carcere cercando di dare loro un luogo accogliente e che ci ricorda la nostra Casa della Speranza di Malmissole.