Fabbrica delle Candele, il Teatro delle Forchette porta in scena “Aspettando Godot” per la regia di Stefano Naldi

Giovedì 27 giugno (ore 21.00) ealla Fabbrica delle Candele di Forlì va in scena “Aspettando Godot” di Samuel Beckett per la regia di Stefano Naldi del Teatro delle Forchette.

Sinossi

Vladimir (chiamato anche Didi) ed Estragon (chiamato anche Gogo) stanno aspettando su una desolata strada di campagna un certo “Signor Godot”. Non vi è nulla sulla scena, solo un albero dietro ai due personaggi che regola la concezione temporale attraverso la caduta delle foglie che indica il passare dei giorni. Ma Godot non appare mai sulla scena, e nulla si sa sul suo conto. Egli si limita a mandare un ragazzo dai due vagabondi, il quale dirà ai due protagonisti che Godot “oggi non verrà, ma verrà domani”. I due uomini, vestiti come barboni, si lamentano continuamente del freddo, della fame e del loro stato esistenziale; litigano, pensano di separarsi (anche di suicidarsi) ma alla fine restano l’uno dipendente dall’altro. Ed è proprio attraverso i loro discorsi sconnessi e superficiali, inerenti ad argomenti futili e banali, che emerge il nonsenso della vita umana. A un certo punto del dramma, arrivano altri due personaggi: Pozzo e Lucky. Pozzo, che si definisce il proprietario della terra sulla quale Vladimiro ed Estragone stanno, è un uomo crudele e al tempo stesso “pietoso”, tratta il suo servo Lucky come una bestia, tenendolo al guinzaglio con una lunga corda.

Pozzo è il padrone, Lucky il servo, ma al tempo stesso Pozzo è vittima di Lucky e la corda che li unisce indica un legame reciproco apparentemente inscindibile. I due nuovi personaggi successivamente escono di scena. Didi e Gogo, dopo aver avuto l’incontro con il ragazzo “messaggero di Godot”, rimangono fermi mentre si dicono “Well? Shall we go?” (E ora? Possiamo andare?) – “Yes, let’s go” (Sì, andiamo), e l’indicazione scenica dice ironicamente “They do not move” (Non si muovono). Il linguaggio non riproduce più la realizzazione della volontà individuale. Non esiste più legame fra parola e azione, fra il linguaggio e la storia che dovrebbe esprimere, comunicare e attivare. Il secondo atto differisce solo in apparenza dal primo: Vladimiro ed Estragone sono di nuovo nello stesso posto della sera precedente. Continuano a parlare (a volte con “non senso”, a volte utilizzando luoghi comuni con effetti comici). Ritornano in scena Pozzo, che è diventato cieco, e Lucky, che ora è muto, ma con una differenza: ora la corda che li unisce è più corta a indicare la soffocante simbiosi dei due. Escono di scena. Rientra il ragazzo che dice che anche oggi il Signor Godot non verrà. Esce e Vladimiro ed Estragone rimangono lì mentre dicono “Well? Shall we go?” – “Yes, let’s go”. E l’indicazione scenica che mette fine al dramma dice “They do not move.”

Note alla regia

“Aspettando Godot”, dramma volendo anche comico-grottesco, associato al cosiddetto teatro dell’assurdo e costruito intorno alla condizione dell’attesa è un’opera teatrale che venne scritta da Samuel Beckett verso la fine degli anni quaranta. Fu pubblicato in lingua francese nel 1952, cioè dopo la seconda guerra mondiale, in un’epoca post-atomica. La prima rappresentazione si tenne a Parigi nel 1953 al Théâtre de Babylone sotto la regia di Roger Blin, che per l’occasione rivestì anche il ruolo di Pozzo. Nel 1954, Beckett – autore irlandese di nascita – tradusse l’opera in inglese. Nella cultura popolare “Aspettando Godot” è divenuto sinonimo di una situazione (spesso esistenziale), in cui si aspetta un avvenimento che dà l’apparenza di essere imminente, ma che nella realtà non accade mai e in cui di solito chi l’attende non fa nulla affinché questo si realizzi (vedi appunto i due barboni protagonisti che si limitano ad aspettare sulla panchina invece di avviarsi incontro a Godot).

La versione che propone ora il regista forlivese Stefano Naldi presentata e prodotta dal Teatro delle Forchette per la quale Naldi è anche direttore artistico, rimane solo apparentemente legata ad una versione “tale e quale” al Testo, e infatti abbiamo come da didascalia l’albero di sfondo un tratto di strada i due barboni, il giovane misterioso, il padrone e il servo con tanto di corda che li collega. E una grande luna dietro. Ma poi già al colpo d’occhio ci spostiamo di dimensione, di appartenenza per respiro d’ambiente. E il colpo d’occhio rimanda al Teatro Orientale, in specifico quello giapponese. Per stilizzazione di scenografia e costumi, per sospensione onirico poetica del luogo, per invertire un certo ordine regolare che regolare non è, vedi il trasformare il tratto di strada descritta da Beckett in una strada fatta di erba verde, il che trasforma la strada in un unico luogo ove abitare eliminando tutto il resto possibile.

Messo lì a tagliare come un fiume trasversale in diagonale la scena. Il legno grezzo predomina, panchina albero luna tutto fatto con assiti di palcoscenico color bambù, i costumi ondeggiano tra sdruciti abiti da personaggi circensi a consunti ma sempre nobilmente eleganti come palandrani indossati da samurai degni del più polveroso Kurosawa. Come del resto ci racconta il testo, il secondo tempo dovrebbe sembrare una replica in crescita di tensione del primo ma qua la regia ci lancia letteralmente “oltre lo Specchio” con un geniale e semplice escamotage scenografico ma dal forte risultato ribaltante sul tutto. Spesso la critica nel tempo ha dato a Godot una sorta di rappresentanza di un qualche Dio dominante, giocando sulla sonorità del nome, anche se lo stesso Beckett rinnegò da subito questa interpretazione. Ma anche se su di un Testo del Teatro dell’Assurdo pretendere di dare una spiegazione unica è sempre pressoché assurdo più del testo stesso, qua Naldi invece tocca una nota sonora tenuta in sordina nel testo da Beckett ma espressa nella visione registica che porta in scena, dove non è Dio che si aspetta, che non si ricerca, che ci manda a dire arriverò domani, ma il senso tutto del divino naturale delle cose, cogliendo quella visione speculare appunto per la quale guardando da un altro punto di osservazione, ci si accorge che il grande albero presente in scena non è lì solo a far da sfondo e come da testo a mostrare il tempo che passa, bensì a dimostrare che il miracolo sta proprio lì, in quei legni, in quelle foglie, qua non più foglie ma lame di luce d’eterna energia, che in quello stesso tappeto d’erba che ci mostrano di come il Tempo Immortale divenga infinitamente superiore a qualsiasi durata dell’umana esistenza.

Una filosofia molto più orientale che occidentale, e infatti quel che appare all’apertura sipario altro non è che un giardino zen a misura d’uomo. E li Stefano Naldi, ci mostra, posso affermare in realtà per la seconda volta, una sua rara visione registica intimistica e assai lontana dal suo stile solitamente musicale e acrobatico, fatto di grandi musiche suoni e grandi movimenti sia d’attore che di elementi di scena. Mi riferisco alla sua prima Regia, affrontata con grande passione e ancora poco mestiere poco più che diciottenne, che fu infatti una sua versione adattamento de “M.Butterfly” e per chi lo vide e lo ricorda, sarà incredibile ritrovare quel “respiro intimo” da adolescente in questa odierna Regia assolutamente matura e consapevole. Un cerchio nella vita e nella carriera di Naldi, che pare si sia appena ritrovato e concluso, ma, come appunto ci raccontano i personaggi di Godot, per giusto per cominciarne un altro a venire e a continuare. Un lavoro di messa in scena regia e ideazione scene e costumi apparentemente senza le mille riletture alle quali Naldi ci ha abituato di sé, in realtà presenti ma richieste in maniera diversa e affidate a quattro Interpreti incredibilmente adatti e perfetti per i Ruoli.

E come successe “agli inizi del cerchio” quando Naldi lasciò ai due soli interpreti tutta la responsabilità del tenere il tutto senza appoggi registici eclatanti, eccoci ancora a quel punto, dove ai suddetti attori viene data la terribile ma impareggiabile responsabilità di “mostrare Testo e Sottotesto “ attraverso soprattutto tramite la loro Arte ed Esperienza di palco. Come del resto ogni Attore che si rispetti dovrebbe essere in grado di fare. Una prova di grande maturità, questo “Aspettando Godot” sia da parte quindi di Regia come di Attorialità, che fanno di questo lavoro un ulteriore passo importante in avanti tra i tanti ai quali il Teatro delle Forchette ci hanno abituati da 25 anni (quest’anno) ad oggi. E aggiungo, in ultimo, un sottilissimo omaggio da parte di Naldi anche a Fellini, quello dei sogni quello del circo e quello della malinconia di un “mi ricordo” mai perduto ma conservato da sempre nel cuore eterno di adolescente.

Cast: Eros Zanchetta, Ivanoe Privitera, Michelangelo Ballardini, Vincenzo Turiaco. Assistente di palco e regia: Maria Antonietta Bavila. Ideazione scene e costumi: Stefano Naldi. Realizzazione scene: Stefano Naldi. Realizzazione costumi: Marco Ceragioli. Biglietteria: biglietto unico 11 euro. Infoline: 0543.1713530; 339.7097952; 347.9458012; e-mail: info@teatrodelleforchette.it.