“Buon Vivere (Good Living) as Relationship Economy”: presentazione del libro
L’idea di Buon Vivere nasce da Monica Fantini, dirigente di cooperativa ed ex vicepresidente della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, che da oltre 15 anni è impegnata a promuovere i propri obiettivi sociali attraverso azioni di divulgazione e sensibilizzazione integrata come festival, mostre, iniziative editoriali. Stefano Farolfi è economista e ricercatore presso il Cirad, Unità di ricerca congiunta G-Eau, a Montpellier, Fabio Lazzari è editore, consulente scientifico e giornalista, mentre Luca Mazzara è professore di economia presso l’Università di Bologna, Campus di Forlì.
Il Buon Vivere diventa un progetto formativo europeo, un percorso in cui non esiste disciplina che rimanga esclusa. Solo mettendosi in relazione e unendo la conoscenza alla pratica quotidiana dell’essere e del fare consapevole si potrà ambire a un mondo capace di far prevalere sostenibilità, equità, giustizia e pace. Il Buon Vivere si impara, al Buon Vivere ci si educa, in questo scuola e università devono essere protagonisti. Numerosi dipartimenti dell’Università di Bologna, unitamente ad altre Università nazionali e al Cirad francese, hanno colto questa sfida che vede, tra i vari docenti coinvolti, anche il prezioso contributo del Premio Nobel Amartya Sen e di Jean Paul Fitoussi, artefici del concetto di Benessere Interno Lordo.
Il libro è stato realizzato nel contesto del progetto Terra del Buon Vivere promosso dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì. Quello che si presenta in questa occasione è un volume fondamentale per comprendere l’importanza del Buon Vivere, un progetto nato per volontà di Monica Fantini e che si è progressivamente affermato come contributo fondamentale per lo sviluppo e la progettazione di un futuro fondato sui valori di sostenibilità, innovazione responsabile, uguaglianza tra generi e culture, economia etica e conoscenza. Negli anni il Buon Vivere è anche diventato materia di studio per vari corsi universitari e questo volume fornisce uno strumento fondamentale per tutti quei giovani che, nei loro corsi di studi, intendono introdurre come elemento propedeutico la conoscenza e lo studio del Buon Vivere.
Un libro, tra l’altro, scritto in lingua inglese, in quanto fin dall’inizio c’è stata la volontà di diffondere quest’idea nata a Forlì del Buon Vivere facendone oggetto di studio da parte di corsi di laurea in Italia e all’estero. Buon Vivere (Good Living) as Relationship Economy raccoglie 11 saggi brevi di autorevoli esponenti del mondo accademico sui vari aspetti del Buon Vivere in relazione con i principali ambiti disciplinari, dall’economia alla psicologia, dalla salute all’urbanistica fino ai temi, centrali per il BV, della parità di genere e della cultura.
Il libro
Al centro del Buon Vivere si colloca l’idea che le relazioni costituiscono il bene primario e irrinunciabile per ogni individuo e che la cosiddetta “economia della relazione” rappresenta la via maestra di ogni progetto che abbia come obiettivo il benessere e fisico e spirituale degli individui e delle comunità a cui essi appartengono.
In questo senso il Buon Vivere si propone come modello di sviluppo in linea da un lato con i Sustainable Development Goals dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU, e dall’altro con la volontà sempre più diffusa di adeguare alla realtà della società contemporanea i parametri tradizionali utilizzati per misurare il livello di benessere economico e sociale individuale e collettivo. In molti settori di studio, dalle scienze sociali all’economia, disponiamo di dati che evidenziano la necessità di riconsiderare il rapporto tra possesso di beni materiali e benessere soggettivamente percepito, mentre in molti casi sono proprio le società più ricche quelle nelle quali gli indicatori oggettivi del disagio sociale sono più allarmanti.
A livello macroeconomico iniziative come la “Commissione Stiglitz-Sen-Fitoussy” (dai nomi degli eminenti economisti coinvolti dal Presidente Sarkozy) in Francia o la definizione del BES (Benessere Equo e Sostenibile) da parte dell’ISTAT in Italia, hanno dimostrato la necessità di superare il PIL come misura quantitativa unica e soprattutto affidabile del progresso e del benessere, cercando di individuare indicatori sintetici capaci di recepire alcune dimensioni fondamentali legate ai temi della sostenibilità e della qualità della vita.
La dimensione trasversale e interdisciplinare del Buon Vivere è evidente. Pertanto, il primo obiettivo dell’opera Buon Vivere come Economia della Relazione è quello di definire in modo articolato, per quanto necessariamente sintetico, le peculiarità che ogni disciplina evidenzia quando si confronta con ciò che si potrebbe o si dovrebbe fare per favorire la concreta attuazione dei valori fondanti di una vita buona a livello individuale e collettivo. In questo senso l’intenzione di riunire una serie di saggi specialistici non è tanto quella di creare una sequenza di punti di vista, ma di rendere l’idea della dimensione olistica del Buon Vivere che non è fatto di tanti pezzi ma si propone come sintesi capace di interessare ogni aspetto della vita e quindi ogni possibile ambito di studio e di ricerca.
Il volume si apre con il contributo di De Pascalis, Chattat, Andrei e Trombini sulla dimensione relazionale del Buon Vivere (living well). Gli autori si concentrano sui due aspetti fondamentali che determinano il Buon Vivere nel corso delle diverse fasi della vita (infanzia, adolescenza, età adulta, anzianità), ossia da un lato le risorse individuali che permettono di far fronte alle prove della vita e dall’altro il contesto relazionale. Il capitolo di Orioli e Massari illustra invece il ruolo della pianificazione urbana (urban planning) in termini di contributo al Buon Vivere, mentre Mazzara sottolinea nel capitolo seguente come l’economia della relazione è leva di governance territoriale. Nel loro capitolo, Segré, Borrione e Porta sottolineano poi il ruolo della cultura quale “elemento fondamentale di rivitalizzazione o mantenimento del valore di un territorio e di sostegno alla qualità della vita in esso”, un altro modo, secondo gli autori, di definire il Buon Vivere.
Se un territorio è fatto anche di attività produttive e di realtà aziendali e industriali, il contributo di Siboni e Riganese è essenziale per comprendere come le pratiche aziendali di sostenibilità possono contribuire a raggiungere gli SDG e dunque a migliorare le condizioni alla base per permettere dinamiche virtuose verso il Buon Vivere. I tre capitoli che seguono illustrano alcuni aspetti specifici essenziali del Buon Vivere: la digitalizzazione, la cura delle malattie croniche e la lotta alle disuguaglianze di genere e etnico-culturali. Golfarelli presenta nel suo capitolo le principali tendenze della digitalizzazione, i rischi sociali e le opportunità offerte da questa “rivoluzione smart”, sottolineando l’impatto che i processi di digitalizzazione hanno sul benessere (well-being) degli individui e della società. Maturo e Gibin introducono dal canto loro un tema fondamentale nelle società moderne e industrializzate: quello della cura delle malattie croniche e delle disabilità. Infine, De Blasio e Selva affrontano un problema cruciale e di grande attualità: quello dell’integrazione etnico-culturale e delle donne nelle società.
I due capitoli che concludono il volume sono complementari fra loro nell’affrontare il problema dello sviluppo, della disponibilità alimentare e della gestione delle risorse nelle società del Nord e del Sud. Dalla Rosa propone un’analisi dettagliata e rigorosa della relazione fra produzione e consumo di cibo, protezione ambientale e sostenibilità del pianeta in un’ottica di benessere sociale. Farolfi e Perret spostano l’oggetto dell’analisi sul ruolo ricoperto della ricerca agronomica per lo sviluppo in termini di Buon Vivere.