Ucraina, Coldiretti: non solo petrolio, il prezzo del grano balza al top da 14 anni
Come il petrolio e il gas anche il prezzo del grano balza e raggiunge i massimi da 14 anni ad un valore di 33,3 centesimi al chilo che non si raggiungeva dal 2008 ma su valori alti si collocano anche le quotazioni di mais e soia necessarie per l’ alimentazione degli animali negli allevamenti. Questo è quanto emerge dall’analisi della Coldiretti alla manifestazione dei giovani sugli effetti economici della guerra che hanno determinato un balzo delle quotazioni mondiali al Chicago Board of trade, punto di riferimento per le materie prime agricole. A far volare i prezzi del grano e degli altri prodotti agricoli è la sospensione a causa della guerra delle spedizioni commerciali dai porti sul mar Nero dell’Ucraina che insieme alla Russia rappresenta quasi 1/3 del commercio mondiale di grano (29%) ma anche il 19% delle forniture globali di mais per l’allevamento animale e ben l’80% delle esportazioni di olio di girasole..
“Una situazione che – sottolinea la Coldiretti – nei paesi più sviluppati sta alimentando l’inflazione ma a rischio c’è la stabilità politica di quelli più poveri con i prezzi del grano che si collocano sugli stessi livelli raggiunti negli anni delle drammatiche rivolte del pane che hanno coinvolto molti Paesi a partire dal nord Africa come Tunisia, Algeria ed Egitto che è il maggior importatore mondiale di grano e dipende soprattutto da Russia e Ucraina”. Una emergenza mondiale che riguarda direttamente l’Italia che è un Paese deficitario ed importa addirittura il 64% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 53% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame, secondo l’analisi della Coldiretti dalla quale si evidenzia peraltro che l’Ucraina è il nostro secondo fornitore di mais con una quota di poco superiore al 20% ma garantisce anche il 5% dell’import nazionale di grano.
L’aumento di mais e soia sta mettendo in ginocchio gli allevatori italiani che devono affrontare aumenti vertiginosi dei costi per l’alimentazione del bestiame (+40%) e dell’energia (+70%) a fronte di compensi fermi su valori insostenibili. Il costo medio di produzione del latte, fra energia e spese fisse, – sottolinea Coldiretti – ha raggiunto i 46 centesimi al litro secondo l’ultima indagine Ismea, un costo molto superiore rispetto al prezzo di 38 centesimi riconosciuto a una larga fascia di allevatori.
L’Italia è costretta ad importare materie prime agricole a causa dei bassi compensi riconosciuti agli agricoltori che sono stati costretti a ridurre di quasi 1/3 la produzione nazionale di mais negli ultimi 10 anni durante i quali è scomparso anche un campo di grano su cinque con la perdita di quasi mezzo milione di ettari coltivati perché molte industrie per miopia hanno preferito continuare ad acquistare per anni in modo speculativo sul mercato mondiale anziché garantirsi gli approvvigionamenti con prodotto nazionale attraverso i contratti di filiera sostenuti dalla Coldiretti. E quest’anno sono praticamente raddoppiati in Italia i costi delle semine per la produzione di grano per effetto di rincari di oltre il 50% per il gasolio necessario alle lavorazioni dei terreni ma ad aumentare sono pure i costi dei mezzi agricoli, dei fitosanitari e dei fertilizzanti che arrivano anche a triplicare. “Nonostante questo il grano duro italiano – sottolinea la Coldiretti – è pagato agli agricoltori nazionali meno di quello proveniente dall’estero da Paesi come il Canada dove è coltivato peraltro con l’uso del diserbante chimico glifosato in preraccolta, vietato in Italia”.
“Per fermare le speculazioni a livello internazionale e garantire la disponibilità del grano – continua la Coldiretti – occorre lavorare per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali. Ci sono le condizioni per incrementare la produzione in Italia dove secondo l’Istat si stimano 500.596 ettari seminati a grano tenero per il pane, con un incremento dello 0,5% mentre la superfice del grano duro risulta in leggera flessione dell’1,4% per un totale di 1.211.304 ettari anche se su questa prima analisi pesano i ritardi delle semine per le avverse condizioni climatiche che potrebbero portare a rivedere il dato”.
“La guerra sta innescando un nuovo cortocircuito sul settore agricolo nazionale che ha già sperimentato i guasti della volatilità dei listini in un Paese come l’Italia che è fortemente deficitaria in alcuni settori ed ha bisogno di un piano di potenziamento produttivo e di stoccaggio per le principali commodities, dal grano al mais fino all’atteso piano proteine nazionale per l’alimentazione degli animali in allevamento per recuperare competitività rispetto ai concorrenti stranieri”, afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel precisare che “nell’immediato occorre quindi garantire la sostenibilità finanziaria delle aziende con prezzi giusti che consentano agli allevatori di continuare a lavorare”. “L’Italia – conclude Prandini – ha le risorse, la tecnologia e le capacità per diventare autosufficiente nella produzione del grano e degli altri alimenti”.