Contro il degrado del Museo archeologico “Santarelli” anche un gruppo Facebook
Si pubblica la nota diffusa dalla sezione forlivese di Italia Nostra.
Quale futuro per il Museo archeologico “Santarelli”? È questa la domanda che molti concittadini si stanno facendo da alcune settimane, da quando in rete è stato diffuso un filmato che mostra lo stato di abbandono e incuria in cui versa il Museo archeologico della nostra città, al piano terra di Palazzo del Merenda. Ed è questa la domanda che ancora attende risposta, nonostante non sia la prima volta che il problema viene portato all’attenzione della collettività. Poco meno di un anno fa, in occasione del dimenticato centenario della morte di Antonio Santarelli, padre dell’archeologia forlivese a cui il museo è dedicato, la nostra Associazione aveva denunciato il deplorevole stato di abbandono delle testimonianze della storia più antica della nostra città e del nostro territorio e la mancanza di un progetto capace di colmare la ferita venutasi a creare in ormai venticinque anni di chiusura del museo, tema su cui siamo recentemente tornati anche con la campagna social “Musei invisibili”.
Il gruppo Facebook “Pro Museo archeologico A. Santarelli”, nato a seguito della diffusione del filmato, ha visto aggregarsi in pochi giorni più di 550 iscritti, in gran parte forlivesi che a mala pena ricordano l’esistenza di quel museo e sono incuriositi dai contenuti che gli animatori del gruppo propongono sulle pagine dei social. E non c’è da stupirsi se gran parte della cittadinanza non si rammenta di questo museo “negato” e delle sue preziose testimonianze, visto che le Amministrazioni di questa città sembrano aver deciso di condannarlo all’oblio, come dimostra anche la sua recente scomparsa dalle pagine informative del Comune, unico fra i vari musei inaccessibili della città.
Gli ingiustificabili silenzi dell’Amministrazione e dei suoi dirigenti, perciò, non sorprendono. Sono specchio di una politica culturale che ha deciso di abbandonare al proprio destino gran parte del patrimonio artistico cittadino, concepito non più come l’essenza dell’identità culturale di una comunità, ma come riserva di capolavori da estrapolare, spostare e riallestire allo scopo di veicolare flussi turistici nella città. Un patrimonio che si sceglie di mortificare con un progetto di rimodulazione degli spazi dei Musei San Domenico, che porterà al disallestimento di parte della Pinacoteca per riservare gli ambienti di maggiore prestigio alle mostre temporanee, sacrificando le collezioni permanenti, soprattutto quelle archeologiche, che purtroppo non troveranno il posto che meritano in quella che si avvia di fatto a non essere più la principale sede delle collezioni permanenti.
La speranza che almeno una parte delle collezioni di Palazzo del Merenda, non solo quella archeologica, possa ritornare fruibile si infrange poi di fronte alla lentezza di un cantiere fermo da mesi e alla mancanza di adeguati investimenti, non solo pubblici, visto che anche lo strumento dell’Art Bonus, che inizialmente prevedeva anche Palazzo del Merenda, è stato riservato interamente al nuovo auditorium dell’ex-Gil, all’Arena San Domenico e al Festival di Caterina, senza alcuna valutazione delle priorità e delle urgenze che pongono a repentaglio il nostro patrimonio artistico.
Scorrendo le immagini della desolazione in cui versa il Museo Santarelli, viene dunque spontaneo domandarsi per quale ragione la nostra città abbia rinunciato a un pezzo della sua storia e perché non sia possibile trovare un equilibrio fra le esigenze legate alle grandi mostre e la salvaguardia e fruibilità dei musei civici. Per l’archeologico serve un nuovo progetto espositivo, capace di dare nuova vitalità ai musei civici nell’era post-Covid, per renderli di nuovo luogo di aggregazione, cultura e ricerca, e per dare spazio anche agli importanti rinvenimenti effettuati negli ultimi trenta anni di scavi urbani e nel territorio: la necropoli dell’Età del Bronzo di via Celletta dei Passeri, nell’area del nuovo carcere, la domus via Curte, da cui sono emersi mosaici e frammenti di affreschi, la necropoli di Piazzale della Vittoria, con la sua ormai celebre pagnotta, e soprattutto gli importanti rinvenimenti di Montepoggiolo, che agli inizi degli anni Novanta avevano proiettato Forlì sulla scena mondiale dell’archeologia e che potrebbero anche oggi portare il nostro museo a tornare ad essere un punto di riferimento a livello territoriale, come d’altronde è sempre stato sin dalla sua fondazione, nel 1874.
La sede di questo museo non può che essere il San Domenico, come inizialmente previsto nel progetto del quarto stralcio, recentemente stravolto a favore di mostre e ristorazione, un assetto in cui una selezione di reperti compare sotto la dicitura di un non meglio precisato “Laboratorio di archeologia”. Scomparso anche l’allestimento del museo e dell’area archeologica al di sotto della Chiesa di San Giacomo. Se Forlì intende superare il paradosso che la vede centro di grandi eventi espositivi e di musei chiusi da decenni e fregiarsi del titolo di “città d’arte e di cultura”, ripensi la sua strategia museale e si metta in ascolto dei suoi cittadini. I fatti di questi giorni hanno risvegliato la curiosità verso la storia più antica del nostro territorio, un interesse partecipe che più volte si è manifestato in occasione della presentazione di scavi e ricerche e che la nostra Associazione continuerà a tenere vivo attraverso conferenze e incontri, previsti già dal prossimo autunno.